Home
you are in / sei in : www.transumanzaamatrice.it - "culture" / "la cultura"

 

 

Il Viaggio della Transumanza

Le Poesie di una volta

 

 
 

Nella cultura pastorale ed in particolare nella regione attorno ad Amatrice, la lirica estemporanea dei cosiddetti “poeti a braccio” era un vanto . Famosi poeti pastori si contendevano gare poetiche “a colpi d’ottave”, erano riuniti assieme ad altri poeti a braccio nell’APEA, Associazione Poeti Estemporanei Amatriciani e nel 1968 al palazzo dei Congressi di Roma si svolse la gara di poesia estemporanea più importante con ben 22 concorrenti laziali, abruzzesi, umbri e toscani, fra i quali anche i nostri poeti pastori.

Ecco alcune tipiche poesie di un poeta pastore locale, Virginio De Carmine

(poesie ed immagini ottenute grazie alla preziosa collaborazione di Mario Ciaralli dell'Associazione Culturale "Cola dell'Amatrice"

 

 
 

GERARCHIA NELL’AZIENDA ARMENTIZIA

Sta il vergaro come un colonnello
comanda tutti quanti a suo piacere,
il buttero vien poi dopo di quello,
al terzo posto il placido casiere;
e chi è al quarto grado del drappello,
ha il titolo onorato di branchiere:
ultimo a tutti il misero biscino
dell’azienda l’autentico facchino.

Virginio Di Carmine
Poeta Pastore

 

 la famiglia armentizia, 1932
 

 

L’ACQUA COTTA


Acqua bollente, un po’ di pan rifatto,
un goccio d’olio, un pizzico di sale,
rustico piatto, veramente astratto,
del più tipico senso pastorale.
Ahi! Quante volte, anch’io l’ho fatto,
questo semplice pasto originale,
ricco di miseria, e di sapore,
autentica lasagna del pastore.

Virginio Di Carmine
Poeta Pastore

 

 ritorno ad Amatrice
 

 

AL BISCINO

Ma chi sei tu piccolo omino,
che di lanosa pelle, vai coperto?
ti segue solo il tuo fedel mastino,
che su te fissa il dubbio sguardo incerto;
tu vai, e vai, e lungo il tuo cammino
mai dell’operar raccogli il merto,
tu soffri e taci, al sole, e alla tormenta,
ed il tanto soffrir, non ti spaventa.

Come è amaro quel pane di polenta,
che t’amministra il tuo crudel padrone,
e perché mamma fosse più contenta,
ne cerchi risparmiar, qualche boccone.
Quando il freddo, ti punge, e ti tormenta,
e GIOVE PLUVIO manda un acquazzone,
ti ripara, la scorza d’un’agnella,
o pur l’umile tela dun’ombrella.

A sera, giammai della fornella,
potrai rimirar, la calda buca,
dietro gl’altri, fai la sentinella,
sperando che qualcuno t’introduca,
vali molto meno, d’un’agnella,
per l’esagrando cuore, del tuo duca,
soffri, mentre una donna sincera,
per te, all’ETERNO, innalza una preghiera.

Tu, la senti al cuor, calda, leggera,
scendere dolce come un frutto d’ole
mentre fuori, in forma di bufera,
urla selvaggio, e orrendo il temporale,
adagiate sull’umile lettiera,
le stanche membra, un torpor’ t’assale,
mentre t’addormi nella rapazzola,
mormori, (mamma), angelica parola.

Un angelo ti veglia, ti consola,
ti vigila con l’occhio del pensiero,
tu, sei il giglio suo, la sua viola,
tu sei la colonna, del suo impero.
Ma vive intorno a te, iniqua scuola,
ogni compagno, è simile a un negriero,
usano moti, che si san di vecchio,
e tù sopporti, ma soffri parecchio.

A notte, mentre il picchiettar d’un secchio,
ti desta, sei ancor dolente e stanco,
imperioso t’ordina un vecchio,
d’addurre al mungitoio, il primo branco;
indossi tutto il rustico apparecchio,
per tema hai il volto, triste e bianco,
mentre t’addentri, nella notte oscura,
ti fai coraggio, con la tua paura.
Guizzano i lampi, lungo la pianura,
aprendo innanzi a te, mille raggiere,
pare, che l’universo si misura,
tra il cielo e terra, sia tutto un cratere,
tu vai tremante, alla tua ventura,
sospinto dal bisogno e dal dovere,
mentre in piedi, ti sorreggi a stento,
tra i turbinosi refoli del vento.

Scese le reti, il branco, pigro e lento,
scuti, con la verga, e con la voce,
lacrime e pioggia, ti bagnano il mento,
dimostra ciò, quanto il soffrir ti nuoce,
sopporti il tuo soffrir con ardimento,
quale, novello CRISTO senza croce,
l’aspro soffrire, ti da più coraggio,
e ti fa degno, del nostro lignagio.

Per un tozzo di pane e di formaggio,
metti, a repentaglio, la tua vita,
che dal poco nutrire dal disaggio,
è resa ogni giorno, più smagrita,
combatti con indomito coraggio,
contro la miseria, la partita
come t’invidio a te biscino mio
all’età tua, fui biscino anch’io

Quando ritorni al paesel natio,
giulivo gridi, “mamma son tornato”
ed ella, ti risponde, “figlio mio”
con un urlo, dal pianto, soffocato,
convinto d’appagare il suo desio,
mostri il magro soldo guadagnato,
il pane, risparmiato, e la ricotta,
piccolo premio, a tanta dura lotta.

Virginio De Carmine
Poeta Pastore


 

 

Tempo di "carosa", 1935

 

 

arrivo a Cardito, 1950

 

 

pastore e il suo gregge a Cornillo, fine anni'50

 

 

La fiera dei buoi ad Amatrice

 
 

View My Stats