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AL BISCINO
Ma
chi sei tu piccolo omino,
che di lanosa pelle, vai coperto?
ti segue solo il tuo fedel mastino,
che su te fissa il dubbio sguardo incerto;
tu vai, e vai, e lungo il tuo cammino
mai dell’operar raccogli il merto,
tu soffri e taci, al sole, e alla tormenta,
ed il tanto soffrir, non ti spaventa.
Come è
amaro quel pane di polenta,
che t’amministra il tuo crudel padrone,
e perché mamma fosse più contenta,
ne cerchi risparmiar, qualche boccone.
Quando il freddo, ti punge, e ti tormenta,
e GIOVE PLUVIO manda un acquazzone,
ti ripara, la scorza d’un’agnella,
o pur l’umile tela dun’ombrella.
A sera,
giammai della fornella,
potrai rimirar, la calda buca,
dietro gl’altri, fai la sentinella,
sperando che qualcuno t’introduca,
vali molto meno, d’un’agnella,
per l’esagrando cuore, del tuo duca,
soffri, mentre una donna sincera,
per te, all’ETERNO, innalza una preghiera.
Tu, la senti
al cuor, calda, leggera,
scendere dolce come un frutto d’ole
mentre fuori, in forma di bufera,
urla selvaggio, e orrendo il temporale,
adagiate sull’umile lettiera,
le stanche membra, un torpor’ t’assale,
mentre t’addormi nella rapazzola,
mormori, (mamma), angelica parola.
Un angelo
ti veglia, ti consola,
ti vigila con l’occhio del pensiero,
tu, sei il giglio suo, la sua viola,
tu sei la colonna, del suo impero.
Ma vive intorno a te, iniqua scuola,
ogni compagno, è simile a un negriero,
usano moti, che si san di vecchio,
e tù sopporti, ma soffri parecchio.
A notte,
mentre il picchiettar d’un secchio,
ti desta, sei ancor dolente e stanco,
imperioso t’ordina un vecchio,
d’addurre al mungitoio, il primo branco;
indossi tutto il rustico apparecchio,
per tema hai il volto, triste e bianco,
mentre t’addentri, nella notte oscura,
ti fai coraggio, con la tua paura.
Guizzano i lampi, lungo la pianura,
aprendo innanzi a te, mille raggiere,
pare, che l’universo si misura,
tra il cielo e terra, sia tutto un cratere,
tu vai tremante, alla tua ventura,
sospinto dal bisogno e dal dovere,
mentre in piedi, ti sorreggi a stento,
tra i turbinosi refoli del vento.
Scese le
reti, il branco, pigro e lento,
scuti, con la verga, e con la voce,
lacrime e pioggia, ti bagnano il mento,
dimostra ciò, quanto il soffrir ti nuoce,
sopporti il tuo soffrir con ardimento,
quale, novello CRISTO senza croce,
l’aspro soffrire, ti da più coraggio,
e ti fa degno, del nostro lignagio.
Per un tozzo
di pane e di formaggio,
metti, a repentaglio, la tua vita,
che dal poco nutrire dal disaggio,
è resa ogni giorno, più smagrita,
combatti con indomito coraggio,
contro la miseria, la partita
come t’invidio a te biscino mio
all’età tua, fui biscino anch’io
Quando ritorni
al paesel natio,
giulivo gridi, “mamma son tornato”
ed ella, ti risponde, “figlio mio”
con un urlo, dal pianto, soffocato,
convinto d’appagare il suo desio,
mostri il magro soldo guadagnato,
il pane, risparmiato, e la ricotta,
piccolo premio, a tanta dura lotta.
Virginio
De Carmine
Poeta Pastore
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